L’eccellenza italiana nel settore del riciclo

Lo scorso 16 dicembre a Milano si è svolta la Conferenza Nazionale dell’Industria del Riciclo, nella quale è stato evidenziato il ruolo di leadership raggiunto a livello europeo dal mondo delle imprese della gestione dei rifiuti in Italia.

Venerdì 23 Dicembre 2022
Leonardo Galasso

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sostenibilità

L’Italia gode di un primato particolare in un settore portante dell’economia circolare e strategico per la transizione ecologica, frutto dell’organizzazione di un sistema industriale del riciclo moderno ed efficiente. Questo quanto emerso dalla Conferenza Nazionale dell’Industria del riciclo “L’eccellenza del riciclo e le sfide future”, nella quale è stata presentata una panoramica completa del sistema di gestione dei rifiuti in Italia.

Da quando è stato approvato il Decreto Ronchi, il nostro Paese si è dotato di un sistema moderno di gestione dei rifiuti, che ha raddoppiato, negli ultimi vent’anni, la quantità di rifiuti recuperati: secondo l’elaborazione di Ecocerved su dati Registro Imprese e MUD, si è passati dalle 30 milioni di tonnellate nel 2000 a circa 65 milioni di tonnellate nel 2020, di cui 54 Mt sono state riciclate. Ciò ha permesso lo sviluppo di un settore industriale composto da 4800 imprese (che operano attraverso 5400 unità locali) e 236.365 addetti, in grado di generare un valore pari a 10.5 miliardi di euro.

Al 2020, l’Italia risulta avere il livello europeo più alto di riciclo di rifiuti annuo per abitante, 969 kg per abitante, seguita dalla Germania con 921 kg/ab, dalla Polonia con 726 kg/ab, quindi dalla Francia con 625 kg/ab e dalla Spagna con soli 472 kg/ab. L’industria italiana del riciclo ha superato di circa 17 punti percentuali la Germania, seconda in classifica, registrando una crescita del 12% negli ultimi undici anni, a fronte di un tasso di crescita invariato per l’UE.

Circa il 70% dei rifiuti viene riciclato da operatori professionali del settore, ovvero quelle aziende il cui core business è la gestione dei rifiuti. Il restante 30% viene invece lavorato da aziende iscritte al Registro Imprese in settori diversi da quello della gestione professionale dei rifiuti, che svolgono anche operazioni di riciclo, per cui definite recuperatori non-core business. Queste realtà valorizzano residui che possono rientrare nel sistema produttivo e sostituire, almeno parzialmente, il fabbisogno di materie prime vergini. In ambito non-core business, risultano protagonisti il settore metallurgico, del legno e dei minerali non metalliferi, che coprono il 75% del recupero non-core business complessivo a livello nazionale, registrando un aumento di quasi il 6% rispetto al 2010.

Per quanto riguarda la resa della lavorazione dei rifiuti (il rapporto tra la quantità di materiali secondari prodotti e la quantità di rifiuti recuperati) nel 2020 si registra un valore medio pari al 75%. La carta, il vetro, i metalli e i prodotti tessili hanno valori di resa media del 90%, il che significa che da 100 kg di rifiuti si ottengono circa 90 kg di materiali secondari classificabili rispettivamente come carta, vetro, metalli o tessili. L’indicatore di resa dell’organico è sensibilmente più basso rispetto agli altri materiali, il che è dovuto sia alle caratteristiche qualitative dei rifiuti raccolti, sia alla riduzione del peso tra le sostanze in ingresso (umide) e quelle in uscita (secche), che limita il rendimento del processo di riciclo e non da necessariamente luogo alla produzione di ulteriori rifiuti di scarto.

Rischi nell’uniformare le normative europee

La filiera degli imballaggi è stata tra le prime ad essere regolamentata a livello europeo, dalle cui direttive deriva la norma di riferimento nazionale, il cosiddetto Testo Unico Ambientale (TUA). I due principi cardine del TUA sono: la responsabilità estesa del produttore (EPR) secondo la regola del “chi inquina paga” che evidenzia le responsabilità di produttori e utilizzatori nella “corretta ed efficace gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti” (art. 221); la responsabilità condivisa, ossia la cooperazione tra tutti gli operatori economici interessati dalla gestione dei rifiuti di imballaggio, pubblici e privati.

Secondo i dati Eurostat riguardo le performance di riciclo degli imballaggi, l’Italia è al primo posto in Europa tra le nazioni più densamente popolate, e al secondo posto per il riciclo degli imballaggi pro capite, sotto il Lussemburgo e sopra la Germania (con 145.8 kg annui per abitante). Nell’aprile 2022 è stata pubblicata la Guidance for the compilation and reporting of data on packaging and packaging waste according to Decision 2005/270/EC, fornita ai Paesi membri UE come guida per adempiere ai loro obblighi di comunicazione in materia di packaging, dando indicazioni specifiche per ogni singolo materiale da imballaggio e processo di produzione/riciclo. Come sottolineato da un’analisi del CONAI (Consorzio nazionale Imballaggi), il modello nazionale di reporting è da sempre accurato e trasparente, per cui le nuove metodiche non impatteranno in maniera sostanziale sui risultati finora comunicati. 

Il 2022 si chiude con una nuova proposta di revisione della legislazione sul packaging. La Commissione europea ha fornito già una bozza della proposta di Regolamento PPW (Packaging and Packaging Waste), che identifica nel solo cauzionamento - ovvero nel Deposit Return System (DRS) - il modello di restituzione che i singoli Paesi dovrebbero adottare entro il 1° gennaio 2028, per determinate tipologie di imballaggi (contenitori in plastica o in metallo monouso per bevande), prevedendo che possano essere esentati solo nel caso in cui raggiungano il 90% di raccolta differenziata.

Per l’Italia questo potrebbe essere un problema perché un DRS andrebbe ad affiancarsi alle raccolte differenziate esistenti, che costituiscono già un circuito efficace di raccolta e valorizzazione degli imballaggi, rischiando di duplicare inutilmente i costi economici e ambientali. Il DRS per il riciclo, se confrontato con la raccolta selettiva, ha diverse rigidità che lo rendono una soluzione non solo non necessaria ma anche non adatta per i Paesi in cui la raccolta differenziata è ben sviluppata e dove, eventualmente anche con misure integrative di raccolta selettiva, gli obiettivi futuri più avanzati di riciclo dei materiali di imballaggio possono essere raggiunti nei tempi previsti.

Il modello italiano di gestione dei rifiuti di imballaggio attuale, basato sulla raccolta differenziata e sulla responsabilità degli EPR, registra il 73,3% di raccolta differenziata. Integrando la raccolta differenziata tradizionale con specifiche raccolte selettive, è auspicabile l’obiettivo di intercettazione del 77% previsto dalla Singole Use Plastic (SUP) per i contenitori per liquidi alimentari (CPL) in PET nel 2025, nonché il raggiungimento del 90% di raccolta dei CPL in PET al 2029. Per i contenitori per liquidi in altri materiali, ad oggi siamo vicini a tassi del 90% grazie alla raccolta differenziata tradizionale, come per le lattine di alluminio.

Dall’analisi di tutte le filiere del riciclo, emerge che i nuovi obiettivi per il riciclo dei rifiuti di imballaggio risultano già raggiunti a livello nazionale: con più di 10,5 milioni di tonnellate raccolte e avviate a riciclo, pari al 73,3% del totale di 14,3 Mt immesse al consumo, nel 2021 l’Italia raggiunge e supera di oltre 8 punti percentuali l’obiettivo del 65% di riciclo del packaging post consumo al 2025 e di 3,3 punti percentuali il target 2030, confermando il ruolo di leadership della propria industria del riciclo in Europa.

Fonti:

https://www.ricicloinitalia.it/conferenza/

https://www.ricicloinitalia.it/wp-content/uploads/2022/12/Il-Riciclo-in-Italia-2022.pdf

https://www.ricicloinitalia.it/wp-content/uploads/2022/12/Sintesi-Il-Riciclo-in-Italia-2022.pdf


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