Patch AI: la vincitrice dell'ultima Startup Competition si racconta

Abbiamo intervistato Alessandro Monterosso, founder di Patch AI, la startup premiata al WMF 2019.

Martedì 21 Gennaio 2020
Simone Di Sabatino

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Innovazione Sociale

Solo 6 mesi fa li abbiamo visti vincere sul palco del Festival nella Startup Competition, adesso sono lanciati verso nuovi obiettivi di crescita e di business. Stiamo parlando di PatchAi, l’innovativa startup che si occupa della raccolta in forma conversazione e dell’analisi predittiva dei dati riportati dai pazienti durante i clinical trials, grazie a una innovativa piattaforma cognitiva di intelligenza artificiale e machine learning.

Dopo qualche mese abbiamo incontrato nuovamente Alessandro Monterosso, uno dei 4 founders e CEO della startup, per chiedere aggiornamenti sullo stato dell'arte di PatchAi.
 

Ciao Alessandro, contento di ritrovarti. Come vanno le cose con Patch AI?

Le cose vanno molto bene. Negli ultimi mesi abbiamo raggiunto una serie di milestones come per esempio la chiusura di un round di investimento da 750mila euro. Siamo stati accelerati da EIT Health (European Institutute of Innovation and Technology), stiamo partecipando a Unicredit Start Lab, il programma di accelerazione vinto proprio in occasione del WMF, e abbiamo completato lo sviluppo della versione 1.0 della piattaforma PatchAi: siamo live sul mercato. Ci puoi trovare sugli stores per quanto riguarda l’applicazione, sia Android che iOS. E siamo live anche con il primo cliente che è Novartis.
 

Siete dunque in fase di scale-up e non più startup?

Sì, se vogliamo definirla così, siamo “in between”.
 

Per coloro che non conoscono Patch AI, ci racconti meglio di cosa si occupa la Startup?

Facciamo patient engagement and retention, e nel mentre facciamo collezionamento dei dati. Il nostro obiettivo è migliorare l’esperienza dei pazienti durante la sperimentazione clinica dei farmaci, durante cioè quegli studi dove vengono testati nuovi farmaci innovativi. Nel frattempo collezioniamo dati di estremo valore che servono poi alla casa farmaceutica a migliorare l’efficacia di questi farmaci e a renderli più personalizzati, per andare più velocemente sul mercato e riducendo così i costi del processo. In sintesi perseguiamo un duplice obiettivo: migliorare l’esperienza dei pazienti e supportare le case farmaceutiche.
 

Sei un infermiere pediatrico ma la tua carriera professionale va a braccetto con software e innovazione. Da dove nasce la tua passione e l’idea di Patch AI? E quali sono i vostri obiettivi?

Sì, sono un infermiere pediatrico. Dopo la laurea ho ottenuto una specializzazione a Trieste in ricerca clinica. Ho iniziato la carriera in ambito della ricerca a Padova. Seguivo i clinical trials e i pazienti che venivano arruolati nelle sperimentazioni cliniche. E’ proprio lì insomma, in corsia, che è nata PatchAi: ho potuto constatare direttamente dei bisogni inespressi sia dal punto di vista dei pazienti, ad esempio barriere comunicative, sia dal punto di vista dei colleghi clinici, che avevano un alto workload. Inoltre mancava un efficace processo di presa in carico dei bisogni e di tutto quello che succedeva ai pazienti tra una visita e l’altra perché, ad oggi, il collezionamento dei dati è ancora cartaceo. Nel frattempo io mi ero appassionato di tecnologia e nello specifico ai chatbot. Per gioco li costruivo da solo e cercavo di essere sempre aggiornato su quelle che erano le ultime tendenze. Quando lavoravo come ricercatore ho provato io stesso a sviluppare qualcosa da utilizzare per migliorare l’esperienza dei pazienti e i processi, ma non ne sono stato capace. Sembrava non esserci nulla. Da lì allora decisi di intraprendere questo viaggio. Mi sono licenziato e mi sono iscritto a un master in Bocconi per la Business Administration in sanità dove ho conosciuto gran parte dell’attuale team e dove l’idea PatchAi è nata e si è concretizzata.
 

Quanti siete oggi nel team?

Oggi siamo 4 founders, e poi abbiamo una decina di sviluppatori che lavorano full time al progetto coordinati dal nostro CTO.
 

La vostra è una startup incredibilmente innovativa. Ma che tipo di concorrenza avete ad oggi?

Per quanto riguarda il collezionamento dei dati ci sono centinaia di competitors, che noi consideriamo indiretti, a livello globale. Il nostro punto di forza è proprio il focus sul paziente e l’utilizzo di un assistente artificiale per cercare di migliorare l’esperienza complessiva. Non solo: utilizzando una modalità di messaggistica e l’empatia riusciamo a migliorare la qualità dei dati. Anziché compilare diari giornalieri e settimanali, che hanno comunque un recall periodo e possono generare bias perché si basano esclusivamente sulla memoria del paziente, che si deve ricordare cosa gli è accaduto nelle ultime 24 ore, nella settimana precedente o dall’ultima visita, grazie a PatchAi, utilizzando la chat, quindi un assistente virtuale empatico, cerchiamo di far abituare il paziente a riportare i dati in tempo reale, migliorando tutte quello che riguarda la qualità dei dati in quanto questi sono molto puntuali e specifici. Questo è quello che ci differenzia dai competitors. Attualmente nel mercato italiano ed europeo non esistono competitors diretti che fanno collezionamento dei dati all’interno dei clinical trials con assistente virtuale e intelligente. A livello globale ci sono 2-3 altre startup, che utilizzano chatbot per fare collezionamento dei dati per il settore health (e non nello specifico sui clinical trials) e che non fanno nessun tipo di claim sul patient engagement ma esclusivamente uno scambio di informazioni, magari durante l’attesa al pronto soccorso piuttosto che durante l’attesa per la visita al medico di base.
 

Come sarà il settore “salute” nel prossimo futuro? E come prevedete l’evoluzione del mercato nei prossimi 5-10 anni?

Questo è un tema che, come puoi immaginare, ci appassiona. Sostanzialmente nei prossimi 10 anni sarà tutto digitale e integrato, a nostro avviso ci saranno assistenti virtuali non solo nel settore health ma a 360 gradi, e tutti, dai più giovani agli anziani, avremo il cellulare connesso con dispositivi medici indossabili, dispositivi medici sottopelle, riusciremo a parlare con gli assistenti virtuali anche in casa: una sorta di utility per la salute in casa, che potrebbe essere anche PatchAi. Un sistema assolutamente integrato e anonimo quindi la proprietà dei dati sarà in capo ai pazienti e tutto il sistema sanitario sarà molto più predittivo e preventivo anziché prettamente curativo. L’obiettivo sarà quello di migliorare la condizione di salute, cercare di prevedere in anticipo quelle che possono essere le modifiche in negativo dello stato di salute e quindi intervenire prontamente per migliorare la qualità di vita.
 

Prevedi che i sistemi sanitari nazionali possano introdurre progetti del genere? O si tratta di una cosa riferita solo al settore privato?

Domanda interessante, ci sono esempi di Stati che sono più avanti con questo tipo di discussione, ci sono altri che sono più indietro. In Italia siamo abbastanza indietro, se ne sta iniziando a parlare adesso a livello centrale, ma siamo lungi dall’implementazione di questo tipo di sistemi. Per esempio in Germania poche settimane fa hanno promulgato una legge per cui un medico può prescrivere terapie digitali, quindi un grosso salto in avanti per quello che riguarda la mutuabilità delle terapie digitali, una novità rispetto a quello che c’è in giro. In Gran Bretagna anche è possibile prescrivere terapie digitali e ci sono una serie di partnership pubblico-private che vanno, in una sorta di logica di open innovation, a introdurre soluzioni innovative digitali. Credo che ci si stia adattando, bisogna semplicemente cercare di guardare al futuro quando si implementano nuove leggi perché tante volte, con la lentezza del sistema burocratico, nel momento in cui vengono recepiti dei regolamenti o vengono messe in atto delle leggi, risultano già obsolete perché nel frattempo le cose sono cambiate. Le tecnologie vanno avanti a una velocità incredibile e tante volte il sistema burocratico non riesce a stargli dietro.
 

Ora qualche domanda sulla Startup Competition del Festival. Come ne siete venuti a conoscenza?

Quest’anno (2019, ndr), come strategie, abbiamo cercato di partecipare a quelle che erano le migliori e più rilevanti competizioni di startup a livello nazionale e internazionale, proprio per iniziare non solo ad avere più visibilità, per partnership, investitori e clienti, ma per confermare la bontà di quello che era il nostro progetto. Fra queste, una delle più importanti, è risultata essere il Web Marketing Festival. Non ci aspettavamo ovviamente di vincere.
 

Che impressione avete avuto calcando il palco del WMF?

Mi ricordo quando siamo arrivati in finale che solamente fare le prove sul Mainstage, anche con la sala vuota, provocava sensazioni incredibili perché era tutto enorme, c’erano qualcosa come 4mila persone poi! È stato tutto molto interessante e abbiamo avuto un ritorno in termini di feedback molto, molto positivo.
 

Qualche ricordo particolare che vuoi condividere con noi?

Mi ricordo per esempio che prima di salire sul palco ho assistito a diversi speech, tra cui il CEO di Hyperloop (Bibop Gresta, ndr): lo guardavo con tanto fascino e ammirazione. E non avevo realizzato cosa stavamo per fare. In un modo o nell’altro, è qualcosa che ci potrebbe succedere nel futuro. Allo stesso tempo non mi ero reso conto che in un paio di minuti sarei stato sul palco dove era stato anche lui, quindi con la stessa audience, lo stesso potenziale impatto. È una cosa che quando stai dall’altra parte tante volte non realizzi ma poi a posteriori dici ‘caspita che speaker che c’erano!’. Noi di PatchAi eravamo lì quindi siamo stati contentissimi.
 

Cosa diresti a qualcuno che ha un’idea innovativa da sviluppare?

Di dimenticarsi del fatto che tantissime persone dicono “tieniti l’idea per te perché poi te la rubano”, ma al contrario parlarne con quante più persone possibile e cerca di trovare il supporto e di capire se l’idea può piacere e può trovare un qualsiasi tipo di outcome nel mercato. Di lavorare con più persone possibili, di andare alla ricerca di advisors che possano supportarti perché durante il concepimento della startup, spesso sei giovanissimo, e non hai esperienza di gestione di un’azienda piuttosto che dello sviluppo di un prodotto. Infine fare networking il più possibile, andare a eventi, cercare consigli, ascoltare.
 

Consigliereste ad altre startup di partecipare al WMF?

Assolutamente sì, è un ottimo trampolino di lancio.
 

Ci verrete a trovare alla prossima edizione?

Assolutamente! Saremo al WMF2020 sperando che in una delle prossime edizioni saliremo sul palco come speaker e non come partecipanti alla competizione.


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