Il potere della condivisione: dalla community all'impegno sociale

Vulnerabilità, sofferenza e condivisione del dolore, Giorgia Soleri racconta la sua esperienza e il suo impegno sociale sul Mainstage del WMF.

Lunedì 25 Luglio 2022
Leonardo Galasso

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Quando si parla di sofferenza, disagio o malessere si entra in un campo d’azione in cui è difficile muoversi con serenità. In un’epoca dominata da elevati standard di benessere, salute e bellezza è sempre più complesso mostrare le proprie fragilità, specie se queste rientrano nei disturbi della sfera sessuale. Giorgia Soleri, scrittrice, influencer e attivista, ha intrapreso una battaglia per il riconoscimento di una patologia tanto diffusa quanto poco conosciuta, la vulvodinia e neuropatia del pudendo. Ha affrontato il tema sul mainstage del WMF lo scorso giugno, condividendo la sua esperienza personale, a partire dall’enorme difficoltà nell’identificare una malattia per certi versi ancora sconosciuta, fino alla diagnosi e al potere balsamico del linguaggio e della condivisione.
 

Pregiudizio e superficialità: i disturbi psicosomatici

Se le cause di un disagio sono difficili da identificare, tendenzialmente si sposta l’attenzione sulla sensibilità del soggetto che ne soffre, relegando il suo problema in una categoria inferiore. Se questo disagio rientra nell’ambito della sessualità è facile che, in maniera più o meno esplicita, venga messo sotto accusa lo stile di vita e la moralità di chi ne soffre. Giorgia Soleri definisce la vulvodinia come patologia che comporta bruciore, dolore e fastidio più o meno intenso in tutta la zona vulvare, vaginale e anale. Colpisce circa una donna su sette,ma le stime sono al ribasso, poiché è un disturbo impopolare e di difficile diagnosi. Ci racconta che a 16 anni vive i primi sintomi, ma non riesce a dare un nome alla sua sofferenza, per otto anni la sua malattia viene sottovalutata, trattata con superficialità, a volte lei stessa viene umiliata, sminuita, addirittura appellata come bugiarda, frigida, esagerata. Un problema che riguarda la sfera sessuale viene spesso relegato ai margini del discorso pubblico, rischia di non essere affrontato poiché percepito come motivo di vergogna. Se questo stesso disturbo rientra nella sfera delle neuropatie, diventa ancora più immateriale, inconsistente.

Linguaggio e condivisione, il valore dei social

Giorgia Soleri ci ha ricordato l’importanza di dare un nome, un’identità, una forma alla propria sofferenza: se siamo impossibilitati a farlo si innescano dei meccanismi di pensiero circolari, chiusi, dai quali è parecchio difficile uscire. Ciò comporta difficoltà nel convivere con se stessi, di conseguenza difficoltà relazionali, sociali, professionali. Il linguaggio è uno strumento potentissimo perché ci permette di costruire una narrazione con cui creare un canale di comunicazione con l’altro, senza questa canalizzazione si rischia di incrementare il dolore, l’isolamento, la malattia stessa. Rivendica il suo diritto di poter esprimere pubblicamente il disagio causato dalla malattia, rivendica il diritto di chiunque di esporre pubblicamente la propria vulnerabilità, il proprio dolore, perché solo in questo modo chi prova simili sensazioni riuscirà a dar loro forma, avviando così un percorso di accettazione e convivenza col male, un male che una volta definito sembra far meno paura. I social in questo si sono rivelati un mezzo fondamentale e, grazie all’eco mediatica diffusasi principalmente su Instagram, è stato fondato – nel giugno 2021 – il Comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo, col quale è stato organizzato a Roma il primo convegno politico sul tema. Grazie al Comitato viene depositata una proposta di legge in Parlamento volta a tutelare le donne che soffrono di vulvodinia.

Assicurare il diritto alla salute e alle cure per tutti

L’articolo 32 della nostra Costituzione assicura il diritto alla salute e alle cure per tutti gli individui. I temi affrontati da Giorgia Soleri ci hanno permesso di riflettere sull’esistenza di un problema culturale per cui alcune malattie spesso, purtroppo, sono considerate di serie b. Il suo intervento ha evidenziato ladifficoltà che deve affrontare una donna soltanto per ottenere una diagnosi attendibile, in un mondo, quello medico, che non esula da una serie di pregiudizi e atteggiamenti discriminatori radicati nella nostra società. Il problema successivo è quello dell'accettazione, non meno importante dell'identificazione della malattia. Se i social sono stati fondamentali per la creazione di una rete comunicativa sana – tantissime donne grazie al lavoro della Soleri hanno riconosciuto sintomi simili e avviato un percorso terapeutico – sono anche luoghi insidiosi, in cui l'esposizione comporta giudizi spiacevoli, derisione o aggressività. La sofferenza e il suo racconto non dovrebbero considerarsi un'eccezione, bisognerebbe normalizzare quella che è una tra le condizioni umane. Non sarà semplice, in una “società della performance”, in cui la normalità viene incarnata da ideali di perfezione ingannevoli, ma sarà necessario alla costruzione di un futuro maggiormente inclusivo.
 


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